Conviene partire con qualche numero. Il 10% dei ragazzi dichiara di essere stato vittima di bullismo online oppure offline, segno che la distinzione si è fatta ormai sfumata. Il 6% ha subito azioni attraverso social network, con messaggi o telefonate, in un sito di videogame o tramite altre piattaforme. Con un impatto che si fa più significativo fra i 15-17enni. Sono numeri del rapporto Eu Kids Online relativi al 2017 che raccontano come l’uso della rete da parte di tutti, ma in particolare dei più giovani, non sia ancora immune da insidie.
D’altronde Facebook ha appena compiuto 15 anni: nonostante l’illusione storica di vivere da sempre su queste piattaforme, si tratta ancora di ambienti antropologicamente inediti. Per non parlare delle app videoludiche stile Tik Tok o delle bacheche anonime come ThisCrush.
Col motto “Together for a better internet”, Insieme per un internet migliore, il 5 febbraio si celebra il Safer Internet Day, un appuntamento annuale internazionale istituito nel 2004 e supportato dalla Commissione europea. L’obiettivo è promuovere un uso più sicuro e responsabile del web e delle nuove tecnologie, in particolare tra i bambini e gli adolescenti di tutto il mondo. Un target particolarmente delicato non solo per l’età ma anche perché costituisce uno dei bocconi più ambiti da parte delle piattaforme digitali.
Che mentre assicurano nuovi strumenti per garantire, per esempio, che gli under 14 non possano iscriversi – in ossequio alle regole stabilite dal nuovo regolamento generale europeo per la protezione dei dati personali – dall’altra progettano piattaforme e ambienti a loro espressamente dedicati. Con lo scopo certo di garantire più tutela e controllo da parte dei genitori ma anche, in fondo, di costruire gli utenti del domani, i prossimi cittadini dei loro sterminati continenti virtuali.
Negli anni il Safer Internet Day è diventato un evento di riferimento. E il dibattito sulla violenza digitale, in particolare sulla sua forma continuativa, cioè sulle azioni di sistematica prevaricazione e sopruso nei confronti di una vittima rese ancor più micidiali dalla totale perdita di controllo dei contenuti fra social, chat e smartphone, è fortunatamente decollato. La svolta è però arrivata solo nel 2017, con l’approvazione della legge 71 del 17 maggio 2017 dedicata proprio al contrasto al cyberbullismo.
Un provvedimento la cui gestazione fu molto complicata e che prese le mosse dal tragico suicidio della 14enne Carolina Picchio nella notte fra il 4 e il 5 gennaio 2013 a Novara. La ragazza era stata molestata sessualmente nel corso di una festa, nel novembre precedente, da un gruppo di ragazzini fra i tredici e i quindici anni.
I video girati in quell’occasione iniziarono a circolare su Facebook portandola alla disperazione. “Volevo solo dare un ultimo saluto – scrisse con parole raggelanti in una delle due lettere lasciate alla famiglia e all’ex fidanzato – perché questo? Beh, il bullismo, tutto qui. Le parole fanno più male delle botte, cavolo se fanno male”. E poi, riferendosi ai bulli: “A voi cosa viene in tasca oltre a farmi soffrire? Grazie per il vostro bullismo ragazzi, ottimo lavoro”. Molto del dibattito di oggi parte da quella notte.
La legge fornisce oggi almeno un paio di strumenti utili: la procedura di ammonimento del minore davanti al questore e la richiesta di rimozione dei contenuti personali direttamente ai gestori delle piattaforme entro 48 ore direttamente da parte della vittima almeno 14enne o dei genitori. Se non rispondono, ci si può rivolgere all’Autorità garante per la protezione dei dati personali che dovrà agire entro altre 48 ore. Forse quattro giorni sono ancora troppi, nulla tuttavia rispetto alla gogna infinita a cui troppi ragazzi – e non solo – sono stati sottoposti per mesi. Basti ricordare un altro caso emblematico del percorso verso questa rinnovata consapevolezza: nel 2016, un video divenuto virale in cui un’adolescente veniva aggredita, insultata e picchiata da una coetanea di fronte all’istituto enogastronomico Dessì di Muravera, in provincia di Cagliari, raccolse 3,8 milioni di visualizzazioni e 80mila condivisioni. Segno che il vero fattore della viralità è, ieri come oggi, la pubblica umiliazione.
Di numeri sul tema ne circolano molti. Cambiano ovviamente i campioni coinvolti, le fasce d’età, le zone d’Italia. Una ricerca del consorzio Miur Generazioni connesse realizzata con gli atenei di Roma e Firenze e Skuola.net, presentata proprio quest’anno, spiega per esempio che sette adolescenti su dieci sono iscritti a un social network già prima dei 14 anni: quasi quattro giovani su dieci (il 38,5%) ammettono di non conoscere personalmente almeno la metà degli amici o dei “follower” che hanno sulle diverse piattaforme. E, spesso, tra questi seguaci si nascondono anche amici inesistenti: il 68% dei giovani intervistati si è infatti imbattuto almeno una volta in un profilo falso. Eppure alcune preoccupazioni non sembrano sfiorarli: il 25% riconosce di non essersi mai occupato della privacy dei propri dati online mentre il 29% dichiara di interessarsene in modo saltuario.
“Ancora, secondo il Microsoft Civility Index, l’Italia è nona su 22 Paesi quanto a esposizione ai rischi online. In particolare il 64,5% degli intervistati ha detto di essere stato vittima diretta – o di conoscere almeno un amico o familiare che ha vissuto questo tipo di esperienza – di almeno uno dei tre principali rischi online: contatti indesiderati, fake news e bullismo. L’elemento inquietante sta nel circolo vizioso che si innesca: in chi subisce questo genere di mortificazioni diminuisce infatti del 2% l’inclinazione a trattare gli altri con rispetto e dignità e del 5% la propensione a utilizzare impostazioni di privacy più rigide sui social media. Come se si precipitasse in una sorta di sfiducia verso il prossimo. Il bersaglio più fragile sono i Millennial e gli adolescenti, anche rispetto ai loro coetanei nel mondo: il 69% dei nati tra gli anni ’80 e ’90 e il 69% delle teenager dichiara infatti di provare molto disagio per questo tipo di attacchi o soprusi, virtuali solo fino a un certo punto”.
Spesso, d’altronde, si dimentica che il tema del cyberbullismo è ovviamente collegato a quello, più ampio, della sicurezza online. Di più: della cittadinanza digitale. Cioè alla capacità di stare sul web e gestire i diversi profili, ma più in generale la propria identità a tutto tondo, nel modo più sicuro e coerente possibile.
Secondo un sondaggio di Google commissionato a YouGov, per esempio, il 54% degli italiani ha spiegato di aver ricevuto email di phising, il 15% di aver avuto il pc infettato da virus o da altri malware, con relativo furto e manipolazione di informazioni personali, il 13% di aver subito accessi non autorizzati ai propri profili Facebook e compagnia e l’8% vittima di scam. Fra l’altro, proprio Big G – insieme ad Altroconsumo e Telefono Azzurro – ha lanciato il programma “Vivi internet, al meglio”, un progetto volto a diffondere i principi base dell’educazione digitale per ragazzi, famiglie ed educatori: reputazione online, privacy e sicurezza, contenuti inappropriati, hate speech.
I consigli sono molti. Verrebbe da dire, visto che si tratta di una questione culturale e di consapevolezza più che strettamente tecnica, sempre gli stessi. Stare attenti a schivare il phishing, cioè le mail in cui siamo indotti a rivelare informazioni personali importanti, controllando mittenti e allegati. Mantenere aggiornati i software, non installare app dannose, utilizzare password efficaci e diverse per ciascun account, impostare numeri di telefono o indirizzi alternativi per recuperare l’accesso al proprio profilo, attivare le verifiche di sicurezza in due passaggi. Sui minori, nello specifico, si possono attivare i controlli parentali ormai disponibili praticamente in tutti i sistemi operativi, i browser o le piattaforme. Ma soprattutto, come spiegano anche gli esperti di Ermes Cyber Security, lavorare sul valore della privacy: solo il 10% dei giovani modifica le proprie impostazioni di riservatezza dopo un’esperienza negativa e solo il 2% segnala contenuti o contatti inappropriati ai gestori delle piattaforme. Un numero del genere racconta come il fenomeno sia equamente una questione di sensibilità culturale e competenza digitale.
Il punto centrale è dunque il dialogo. Da una parte genitori ed educatori devono “sporcarsi le mani” e sforzarsi di conoscere davvero le piattaforme su cui i ragazzi trascorrono gran parte del proprio tempo (qualcuno, per esempio, ha mai sentito Zepeto?): un ragazzo su quattro che incrocia episodi mortificanti sul web, infatti, non ne parla. Forse perché pensa che non ci sia nessuno pronto ad ascoltarlo o che, peggio, possa capire davvero cos’è successo. Per fortuna, con un po’ di ritardo, qualcosa sta cambiando: 3.647 insegnanti sono oggi iscritti alla piattaforma Elisa, un sistema di e-learning per i docenti sulle strategie antibullismo lanciata dal ministero dell’Istruzione con l’università di Firenze che fa parte delle diverse azioni previste dalla legge del 2017.
Twitter, da parte sua, ha lanciato “La Terra nel palmo delle mani di una persona” l’emoji che si attiva quando viene pubblicato un tweet con gli hashtag #SaferInternetDay, #SaferInternetDay2019 e #SID2019. “Twitter è entusiasta di supportare il #SaferInternetDay che contribuisce alla sensibilizzazione delle problematiche che emergono nel mondo del web. Crediamo che tutti su Twitter dovrebbero sentirsi sicuri nell’esprimere le proprie opinioni attraverso i tweet, ed ènostro compito renderlo possibile”, dice Karen White, a capo della Public Policy di Twitter Emea. Non solo il social network messo a disposizione degli utenti un kit di strumenti utili per la sicurezza che permette di decidere cosa vedere e con chi interagire. E ha snocciolato alcuni consigli per personalizzare e migliorare la propria esperienza su Twitter: come usare lo strumento “unfollow” con cui smettere di seguire un account; oppure il “blocco”, che aiuta a controllare come interagire con gli altri profili. Infine c’è un nuovo “filtro per le notifiche” che riconosce i contenuti di bassa qualità e, se attivato, rimuove le notifiche relative.
Fonte: Repubblica