Cade l’obbligo di pubblicare on line i dati personali sul reddito e sul patrimonio dei dirigenti pubblici diversi da quelli che ricoprono incarichi apicali
L’obbligo di pubblicare online i dati reddituali e patrimoniali vale solo per i dirigenti pubblici «apicali». Non per tutta la platea dei 140.000 dirigenti della p.a.. Aver stabilito un obbligo di pubblicazione generalizzato, applicando alla totalità della dirigenza amministrativa il regime di pubblicità previsto inizialmente solo per i titolari di incarichi di natura politica, viola infatti il principio di ragionevolezza e quello di eguaglianza.
Con la sentenza n. 20/2019, depositata ieri in cancelleria (relatore Nicolò Zanon), la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l’art.14 comma 1 bis del dlgs n.33/2013 così come modificato dal dlgs 97/2016.
Si tratta dei dati relativi ai compensi percepiti per lo svolgimento dell’incarico e dei dati patrimoniali (redditi ricavabili dalle dichiarazioni al Fisco, da diritti reali su beni immobili e mobili registrati, da azioni e quote di partecipazione in società) che sulla base delle norme censurate dovevano essere diffusi attraverso i siti istituzionali, potendo così essere indicizzati e rintracciati sul web dai motori di ricerca. La Corte ha ritenuto irragionevole il bilanciamento operato dalla legge tra due diritti: quello alla riservatezza dei dati personali, inteso come diritto a controllare la circolazione delle informazioni riferite alla propria persona, e quello dei cittadini al libero accesso ai dati e alle informazioni detenuti dalle pubbliche amministrazioni. Dati e informazioni, ha osservato la Consulta, «che non necessariamente risultano in diretta connessione con l’espletamento dell’incarico affidato» in quanto «offrono un’analitica rappresentazione della situazione economica personale dei soggetti interessati e dei loro più stretti familiari, senza che a giustificazione di questi obblighi di trasparenza possa essere invocata, come invece per i titolari di incarichi politici, la necessità o l’opportunità di rendere conto ai cittadini di ogni aspetto della propria condizione economica e sociale, allo scopo di mantenere saldo, durante l’espletamento del mandato, il rapporto di fiducia che alimenta il consenso popolare». Ed è proprio qui che secondo la Consulta risiede l’illegittimità della norma la quale, nell’estendere i descritti obblighi di pubblicazione alla totalità dei circa 140.000 dirigenti pubblici, ha violato il principio di proporzionalità, cardine della tutela dei dati personali e presidiato dall’articolo 3 della Costituzione. Pur riconoscendo che gli obblighi in questione sono funzionali all’obiettivo della trasparenza, e in particolare alla lotta alla corruzione nella pubblica amministrazione, la Corte ha infatti ritenuto che tra le diverse misure appropriate non è stata prescelta, come richiesto dal principio di proporzionalità, quella che meno sacrifica i diritti a confronto.
Secondo la Consulta, e secondo il Tar del Lazio che ad essa si è rivolto dubitando della legittimità della norma, proprio la grandezza della platea di dirigenti soggetti agli obblighi di pubblicazione (140.000) «non agevola affatto la ricerca di quelli più significativi» ai fini anticorruttivi «se non siano utilizzati efficaci strumenti di elaborazione che non è ragionevole supporre siano a disposizione dei singoli cittadini».
Al contrario, come avvertito anche dall’Anac e dal Garante della privacy, «il rischio è quello di generare opacità per confusione, proprio per l’irragionevole mancata selezione, a monte, delle informazioni più idonee al perseguimento dei legittimi obiettivi».
«L’indicizzazione e la libera rintracciabilità sul web, con l’ausilio di comuni motori di ricerca, dei dati personali pubblicati, non è coerente al fine di favorire la corretta conoscenza della condotta della pubblica dirigenza e delle modalità di utilizzo delle risorse pubbliche. Tali forme di pubblicità rischiano piuttosto di consentire il reperimento “casuale” di dati personali, stimolando altresì forme di ricerca ispirate unicamente dall’esigenza di soddisfare mere curiosità».
Quali obblighi informativi vanno dunque considerati ancora vigenti e quali abrogati dopo la sentenza della Consulta? Restano in vigore gli obblighi informativi collegati all’esercizio di un controllo sia sul corretto perseguimento delle funzioni istituzionali sia sull’impiego virtuoso delle risorse pubbliche. Quindi i compensi di qualsiasi natura connessi all’assunzione della carica nonché le spese relative ai viaggi di servizio e alle missioni pagate con fondi pubblici, continueranno a essere oggetto di pubblicazione per tutti i dirigenti. La stessa cosa non può dirsi per i dati relativi ai redditi e al patrimonio personale che dovranno essere pubblicati solo dai dirigenti apicali delle amministrazioni statali (segretari generali di ministeri, direttori di strutture articolate in uffici dirigenziali generali, nonché incarichi dirigenziali di livello generale).
Secondo la Corte, l’attribuzione a questi dirigenti di compiti di elevatissimo rilievo rende non irragionevole che, solo per loro, siano mantenuti gli obblighi di trasparenza.