Cyberbullismo e hate speech, cosa prevede la legge e cosa resta da fare

Sia in Italia che in Europa sono state approvate norme per dare una stretta a fenomeni sempre più frequenti online. Ma per rendere efficaci alcuni principi è necessario un passaggio in più

Contro il fenomeno del cyberbullismo oggi abbiamo più strumenti che, tuttavia, non sono ancora stati utilizzati pienamente. Eppure la cronaca ci informa, quasi ogni giorno, di episodi di derisione, hate speech e – appunto – bullismo tra ragazzi sulle principali piattaforme di social network. Vicende che possono avere conseguenze irrimediabili non solo sul piano privato ma anche su quello pubblico.

Le norme di contrasto a questo fenomeno non mancano, né in Europa né in Italia. In particolare, alcune rilevanti sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo hanno sancito che gli episodi di hate speech sono in aperto contrasto con i principi della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e che alle piattaforme online, in presenza di contenuti lesivi della reputazione altrui, devono essere pienamente applicati i parametri stabiliti a Strasburgo in materia di libertà di stampa solo alla luce dell’intero contesto dei commenti, delle misure predisposte dal portale per prevenire o rimuovere i commenti diffamatori, valutando anche rispetto alle procedure interne la responsabilità degli autori dei commenti come alternativa alla responsabilità del portale.

I Tribunali, inoltre, hanno pienamente statuito che un sito internet utilizzato per propagandare idee razziste può essere oscurato o chiuso, anche se i server si trovano all’estero. In questo caso, infatti, il giudice italiano ha il potere di intervenire, se il sito è fruibile in Italia e ha dato origine a fenomeni tangibili di manifestazioni o associazioni.

Con la legge 71/2017 il Parlamento italiano ha potenziato su più fronti le misure di contrasto ai fenomeni di cyberbullismo, stabilendo la creazione di canali di comunicazione anche per i minori (a partire dal compimento dei 14 anni, età dalla quale in Italia è prevista la validità del consenso per l’accesso ai servizi della società dell’informazione), così da permettere al Garante della Privacy ed ai provider di intervenire per rimuovere in modo tempestivo i contenuti offensivi e introducendo l’educazione digitale nelle scuole. Infine, sono state inasprite le pene per i reati connessi, aumentando così l’effetto deterrente.

Questi passaggi, pietre miliari di un processo di educazione al rispetto online, non bastano. Se non si rafforzano alcuni strumenti, infatti, il rischio è che le leggi e il codice penale rimangano lettera morta.

Infatti, il diritto all’oblio, già previsto a livello giurisprudenziale sin dalla pronuncia resa dalla Corte di Giustizia nel 2014 nel celebre “Google Spain”, è oggi espressamente sancito nel Gdpr come il diritto alla cancellazione dei propri dati personali in forma rafforzata, ovvero come il concreto diritto di ottenere la rimozione definitiva “di qualsiasi link, copia o riproduzione di dati personali”.

Il diritto, quindi, esiste, ma non è possibile esercitarlo in modo immediato. Basterebbero misure molto semplici, ad esempio i siti potrebbero indicare in modo chiaro come contattare lo staff per ottenere la rimozione di alcuni contenuti. Anche i provider possono fare la loro parte, mettendo a disposizione personale qualificato a intervenire, anche instaurando un dialogo tra gli utenti e gli operatori, e tra operatori stessi.

*CBA è uno studio legale/tributario

 

Fonte: GIOVANNA BOSCHETTI, *CBA – LaRepubblica.it