Pd e Cinquestelle avevano individuato il loro candidato nel professore Pasquale Stanzione, ma la presidenza potrebbe finire a Fratelli d’Italia. Ecco perché
SI SLITTA. Rinviata ancora una volta la nomina dell’Autorità per la Privacy. La votazione avrebbe dovuto tenersi oggi ma, per decisione dei capigruppo dei partiti, è stata rimandata al 27 febbraio. Stessa sorte per le nomine Agcom. Insomma, arrivato il momento tanto atteso, le fibrillazioni della maggioranza, con Italia Viva che rivendica un ruolo nelle nomine, avrebbero fatto saltare tutto all’ultimo minuto. Avrebbero, perché forse nel caso delle nomine sulla privacy le cose stanno diversamente.
Il 19 giugno scorso è infatti scaduto il mandato di Antonello Soro come Garante per la protezione dei dati personali. Da allora la poltrona è vacante a causa di rinvii e indiscrezioni che hanno bruciato tanti candidati dai nomi eccellenti: Luigi Manconi, Giovanni Legnini, Guido Scorza, Stefano Aterno, e molti altri. Qualcuno per motivi di opportunità – l’aver rappresentato big tech come Google e Facebook in tribunale -, altri per mancanza di accordo all’interno delle stesse forze politiche che li avevano indicati.
Così i quattro finalisti della corsa al Garante privacy rimasti fino a ieri erano il giurista Oreste Pollicino per i Cinquestelle, il professore Pasquale Stanzione per il Pd, il vicepresidente del Senato Ignazio La Russa per Fratelli d’Italia e un nome ancora sconosciuto per la Lega che avrebbe glissato su quello dell’ex sottosegretario Luciano Barra Caracciolo. Pd e Cinquestelle avevano faticosamente trovato la quadra su Stanzione presidente per impedire che in caso di stallo venisse nominato per motivi di anzianità l’avvocato Ignazio La Russa dagli stessi componenti del collegio, come vuole il codice della privacy. La Russa ha 72 anni, Stanzione 74 e questo lo metteva in pole position. Ma in questo schema, dicono le voci di corridoio, si è appena infilato Raffaele Squitieri che di anni ne ha 78. Nato a Mogadiscio, ex presidente della Corte dei Conti, sempre in quota Fratelli d’Italia, Squitieri ha il grande merito di essere il più anziano di tutti gli altri finora in gara. Quindi con il nuovo arrivato il pareggio fra i due favoriti dalla maggioranza, Pollicino e Stanzione, e i due dell’opposizione, il leghista e Squitieri, porterebbe quest’ultimo ai vertici dell’Autorità perché più anziano di Stanzione, proprio in virtù di quell’articolo 153 del Codice privacy che i precedenti garanti avrebbero voluto cambiare. Risultato? Adesso è tutto da rifare.
Però, come notano alcuni osservatori, tra cui Fabio Chiusi, la corsa a trovare un candidato sempre più anziano è solo il sintomo, non la causa del problema, che invece riguarda i criteri di selezione del collegio, che dovrebbero essere improntati alla trasparenza e all’interesse pubblico, sopratutto in un’epoca in cui la gestione e la tutela dei dati sono il nuovo campo di battaglia. Non è un segreto che la complessa gestione del nuovo regolamento della privacy, il Gdpr, e le pesanti sanzioni per chi non lo rispetta, ma anche i continui furti di dati ai danni di banche, PA e social network, i problemi dell’intelligenza artificiale e la proprietà dei big data necessari a istruirla, saranno i temi quotidiani dell’Autorità fino alla sua prossima scadenza nel 2026. Un’Autorità che pure sottofinanziata e a corto di personale, con il presidente Antonello Soro dimissionario finora si è destreggiata fra norme europee e guerre commerciali riuscendo a salvaguardare il patrimonio pubblico dei dati estratti dalle grandi piattaforme.
Un lavoro che richiede un salto di qualità per gli anni a venire. La pervasività dell’informatica, cioè uno scenario in cui i computer saranno nella vernice delle porte e delle maniglie, la liceità dell’uso degli spyware, i cosiddetti trojan di stato, i droni usati per lo spionaggio commerciale e politico, il riconoscimento biometrico alle frontiere europee e i 17 milioni di record facciali del sistema Sari solo in Italia richiedono un impegno e un livello di competenza molto elevato e non solo di carattere giuridico per essere affrontati. Per questo i detrattori delle scelte finora fatte dai partiti rimarcano che nessuno dei candidati emersi sia un esperto di informatica di primo livello, studioso di cybersecurity o intelligenza artificiale, e che uno solo si trovi a suo agio con la lingua che si parla a Bruxelles, l’inglese. È a Bruxelles infatti dovrà avvenire il ripensamento delle norme per cui se un utente italiano di Facebook vuole rivendicare la tutela dei suoi dati contro il social network, deve rivolgersi a Dublino dove l’azienda americana ha la propria sede europea. Ed è sempre a Bruxelles che si deciderà se le bugie rivelate dalla mimica facciale con l’uso di algoritmi di machine learning saranno una prova sufficiente per impedire l’ingresso sul Continente a potenziali terroristi.
E tutto questo a fronte di una sempre maggiore insofferenza di cittadini per la sorveglianza dei consumi fatta con i cookies e il fingerprinting (l’impronta digitale) che accumulano dati di navigazione e preferenze commerciali, il “petrolio” del capitalismo delle piattaforme, come lo chiama Shoshana Zuboff. Una sfida che aveva già intuito Stefano Rodotà, il primo presidente dell’Autorità, che già del 1973 (Elaboratori Elettronici e controllo sociale, Il Mulino), parlava dell’importanza del controllo pubblico dei dati che finiscono in mano ai privati. Quello esercitato dal Garante, appunto.
Fonte: www.larepubblica.it