Non si registra la temperatura dei clienti

Da quando l’emergenza sanitaria legata al Covid-19 è scoppiata sono stati tantissimi gli interventi del legislatore che si sono susseguiti a una rapidità mai vista prima, e molti di questi hanno avuto ad oggetto o comunque hanno riguardato il diritto alla riservatezza dei cittadini. I provvedimenti sono talmente tanti che risulta ormai particolarmente difficile districarsi tra norme e provvedimenti con contenuti e forme sempre diversi.

Proprio per questo motivo diventano sempre più centrali documenti come Faq e linee guida che stanno diventando tipici delle amministrazioni e aiutano ad avere preziosi chiarimenti su questioni pratiche e dubbi interpretativi. In questo quadro si inseriscono le Faq a tema “Covid-19 e Protezione dei dati” pubblicate lunedì sul sito del Garante privacy che toccano varie aree tematiche: sanità, scuola, ricerca scientifica e lavoro.

Con riferimento a quest’ultimo ambito moltissime sono le conferme che sono arrivate dal Garante e altrettanti sono i chiarimenti. In primo luogo la questione della misurazione della febbre all’entrata dell’azienda: il Garante conferma che tale misura è ormai certamente applicabile a chiunque, che sia dipendente, fornitore o visitatore occasionale, e ribadisce l’importante distinguo tra la semplice rilevazione della temperatura (sempre possibile) e la registrazione della stessa.

Quest’ultima operazione di trattamento è ammessa solo laddove il valore superi il massimo consentito (37,5 gradi), al fine di documentare le ragioni che hanno impedito l’accesso al luogo di lavoro. Di conseguenza, specifica il Garante, la registrazione non è necessaria quando si tratti di visitatori occasionali o clienti.

Altro tema ricorrente di questi giorni toccato dal Garante è l’autocertificazione relativa a contatti con soggetti infetti e la provenienza da zone a rischio secondo la classificazione dell’Organizzazione mondiale della sanità. Anche in questo caso si ribadisce che la misura può essere adottata nei confronti di qualunque soggetto debba entrare in azienda, ferma restando la necessità di limitare la raccolta ai dati necessari per evitare la diffusione del virus, evitando domande sulla sfera privata o le località visitate.

Il Garante, poi, elenca i trattamenti che sul luogo di lavoro devono coinvolgere il medico competente, la cui centralità in questo periodo è stata fortemente ribadita dal protocollo condiviso del 24 aprile. In tale contesto, sottolinea il Garante, non muta però un principio fondamentale: anche laddove il medico competente dovesse segnalare al datore di lavoro situazioni di particolare fragilità dei dipendenti, non deve rivelare le specifiche patologie occorse ai lavoratori.

Il Garante ribadisce inoltre che i nominativi dei lavoratori affetti da Covid-19 non possono essere comunicati né agli altri dipendenti né al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. Si tratta di dati che, infatti, possono essere comunicati soltanto alle autorità sanitarie competenti, al fine di individuare le persone entrate in contatto con il soggetto infetto.

Fonte: www.federprivacy.org