Spetta all’Inps decidere, caso per caso, se comunicare i nomi di chi ha ricevuto il bonus Covid, previsto per le partite Iva dal decreto legge «Cura Italia». Questa la risposta, allo stesso istituto previdenziale, da parte del Garante della privacy, sintetizzata in un comunicato del Garante del 17 agosto 2020.
La vicenda, riguardante la conoscibilità dei nomi di chi ha incassato l’indennità di 600 euro elargita dal decreto legge 18/2020, è in evidenza nella cronaca e nei dibattiti politici, poiché è emerso che dell’indennità hanno fruito politici locali e anche parlamentari.
Al centro del clamore mediatico si trova l’Inps, erogatore delle somme, che detiene i nomi dei percettori. Proprio l’Inps, che è sotto indagine del Garante della privacy a proposito della complessiva gestione dei dati nell’ambito del bonus Covid, ha chiesto lumi al Garante in merito alla possibilità di rivelare i nomi.
La risposta del Garante è arrivata ieri, anche se l’autorità di Piazza Venezia non ha detto una parola definitiva, limitandosi a richiamare alcune disposizioni sulla trasparenza amministrativa e, quindi, di fatto, a ributtare la pallina nel campo dell’Inps. Si tratta di una risposta, in cui il Garante distingue la «pubblicazione» della lista di tutti i beneficiari e l’«accesso civico generalizzato». Si sono messi tra virgolette i nomi degli istituti, di cui il Garante parla nel suo comunicato, perché si tratta di due tecnicismi giuridici e non sono i soli in materia di trasparenza della P.A.: anzi, la legge italiana prevede talmente tante forme di trasparenza amministrativa, così tante da far pensare che il risultato sia quella che la Corte costituzionale ha chiamato «opacità per confusione» (e cioè la negazione della trasparenza).
Tornando alla questione bonus Covid e alla pubblicazione della intera lista dei beneficiari, il Garante ricorda che, stando alla legge, la regola sarebbe la pubblicazione obbligatoria di chi prende contributi superiori ai mille euro (articolo 26 del dlgs 33/2013); ma è anche vero che la stessa norma impedisce la pubblicazione dei dati identificativi delle persone fisiche, qualora da tali dati sia possibile ricavare informazioni relative alla situazione di disagio economico-sociale degli interessati: questa causa di esonero, ricorda, il Garante va valutata caso per caso dall’ente tenuto alla pubblicazione (quindi, deve farlo l’Inps).
Allo stesso esito si arriva per le richieste di accesso civico generalizzato (il «Foia» italiano, articolo 5, comma 2, dlgs 33/2013): la P.A. deve dare qualunque notizia utile al cittadino a partecipare al dibattito pubblico; ma, anche qui c’è un «ma», non deve causare un pregiudizio concreto alla riservatezza delle persone. Aspetto, questo, che, di nuovo, deve valutare l’Inps caso per caso.
Ora, al di là delle norme e delle linee guida (in materia ce ne sono e molto lunghe dell’Anac), resta il fatto che il legislatore non ha dato una regola chiara (si può sapere o no se un politico, locale o nazionale, ha preso un’indennità a carico della fiscalità generale?), limitandosi a scrivere vaghe leggi formali, contenenti eccezioni altrettante vaghe, con la certezza di interpretazioni non omogenee e anche contraddittorie. Per arrivare a negare o fornire dati e informazioni basta, infatti, esercitarsi dialetticamente su argomenti che possono essere estesi o ristretti a piacimento: ricorrenza o meno del disagio economico-sociale (che tra l’altro non è un presupposto per l’erogazione del bonus Covid) oppure concretezza o meno del pregiudizio per la riservatezza del beneficiario.
Fonte: Italia Oggi del 18 agosto 2020