La Corte di Cassazione con la sentenza n. 3204/2021 conferma la condanna dell’imputata per il reato di diffamazione aggravata, non potendo riconoscere l’attenuante della provocazione in quanto la pubblicazione dei post su Facebook in cui si rende nota la relazione extraconiugale dell’ex marito e le offese rivolte all’amante dell’ex marito, realizzate a distanza di tempo dalla fine della relazione rivelano piuttosto sentimenti di odio e vendetta.
Vicenda processuale che ha inizio quando la Corte d’Appello conferma la sentenza di primo grado e condanna l’imputata alla pena di 1500 euro di multa e al risarcimento del danno per il reato di diffamazione aggravata commessa ai danni dell’ex coniuge, per aver diffuso su Facebook notizie sulla relazione dell’ex coniuge e aver offeso l’onore dell’amante con epiteti volgari.
Il difensore della donna nel ricorrere in Cassazione solleva i seguenti motivi di doglianza.
– Con il primo rileva l’inutilizzabilità delle dichiarazioni della persona offesa, in quanto indagata e imputata in un procedimento connesso per il reato di atti persecutori in danno dell’imputata.
– Con il secondo contesta il mancato riconoscimento dell’esimente della provocazione rappresentata dalla relazione extraconiugale e della mancata valutazione delle condotte moleste e diffamatorie messe in atto dall’amante ai danni dell’imputata tra il 2013 e il 2015.
– Con il terzo lamenta infine l’entità della pena inflitta, superiore al massimo edittale di 1032 euro.
La Cassazione però rigetta il ricorso, annulla la sentenza e rinvia solo pe rideterminare la pena, derivante dall’accoglimento del terzo motivo di ricorso.
In relazione al primo motivo di ricorso, che la Cassazione ritiene inammissibile, precisa che l’inutilizzabilità delle dichiarazioni della persona offesa non sono state eccepite prima di procedere all’esame della stessa.
Il fatto poi che la persona offesa si è costituita parte civile fa desumere la scelta della stessa di voler deporre contro l’imputata. L’eccezione d’inutilizzabilità è inoltre affetta da genericità, in quanto non ne viene indicata l’incidenza sul complesso corredo indiziario, costituito anche dalle dichiarazioni dell’ex marito dell’imputata e dalla copia dei post pubblicati si Facebook.
Inammissibile per genericità il secondo motivo sull’esimente della provocazione, anche perché la diffamazione a mezzo Facebook dell’ex marito e della nuova compagna è stata realizzata dall’imputata non immediatamente dopo la fine della relazione con l’imputata. Condotta da cui si desume un proposito di vendetta o di sfogo, più che da una reazione a una provocazione.
Vero che per riconoscere l’esimente della provocazione non occorre che la reazione sia istantanea, innegabile però che la stessa debba essere immediata, per cui “il passaggio di un lasso di tempo considerevole può assumere rilevanza al fine di escludere il rapporto causale e riferire la reazione ad un sentimento differente, quale l’odio o il rancore.”
Non collegabili alla condotta dell’imputata neppure le condotte dell’amante dell’ex marito, successive e non immediate rispetto alla diffamazione e quindi incapaci d’integrare un fatto ingiusto ricollegabile al reato di cui all’art. 595 c.p.
Fondato invece l’ultimo motivo perché la multa irrogata all’imputata è ben superiore al massimo edittale previsto per la pena pecuniaria come misura alternativa alla pena della reclusione.
Fonte: Studio Cataldi