Negli ultimi decenni i social network di maggiore successo hanno raggiunto fatturati annui da miliardi di dollari offrendo servizi apparentemente gratuiti agli utenti, ma in realtà quando ci iscriviamo ad un social paghiamo con i nostri dati personali, che vengono spesso sfruttati in modo indiscriminato per finalità di marketing ed altri scopi poco trasparenti che un adulto esperto e maturo non riesce a comprendere pienamente neanche se si prende il tempo per leggere le lunghissime e complicate informative sulla privacy che gli vengono sottoposte quando intende aprire un account.
(Nella foto: Nicola Bernardi, presidente di Federprivacy)
La faccenda diventa ancora più pericolosa quando a poter ottenere qualcosa di gratis con un semplice click è una persona inesperta e vulnerabile come lo è un bambino, che navigando sul web si trova di fronte ad una sorta di “paese dei balocchi” in cui non è tutto oro quello che luccica.
Purtroppo osserviamo che allo stato attuale il web non si presenta come un ambiente sicuro di cui gli utenti possono avere fiducia, ma come una specie di giungla in cui il pericolo è sempre dietro l’angolo, specialmente per i minori. In molti casi app e social vengono presentati a bambini e adolescenti come innocui giochi e passatempi, ma spesso raccolgono massivamente informazioni profilando su larga scala i loro comportamenti online senza rispettare pienamente le regole.
Una recente ricerca dell’Osservatorio di Federprivacy ha evidenziato che il 93,8% delle app rivolte ai bambini contengono tracker che li spiano e quasi la metà di queste trasferiscono i dati in paesi non sicuri per la privacy, ma nell’87% dei casi non vengono neanche pubblicati i contatti di un Data Protection Officer a cui un genitore avrebbe diritto di rivolgersi per tutelare il proprio figlio.
L’intervento del Garante su Tik Tok e la campagna informativa dell’autorità per sensibilizzare i genitori rappresentano un importante primo passo per la tutela dei minori online, tuttavia ciò non toglie le legittime preoccupazioni e le perplessità di chi ha a cuore il benessere psicofisico dei propri bambini, e nel sondaggio che abbiamo condotto nei giorni scorsi insieme ai nostri delegati in 107 province italiane abbiamo riscontrato che solo il 4,7% dei partecipanti ritiene accettabile che un bambino tredicenne possa iscriversi da solo a un social network, mentre il 95,3% dei genitori intervistati non è affatto d’accordo con il fatto che a loro figlio basti aver compiuto 13 anni per iscriversi a un social network senza il benestare di un genitore.
Anzi, nel 68,5% dei casi riterrebbe giusto attendere che abbia compiuto 16 anni per consentirglielo, mentre il 26,8% è in linea con la previsione del Codice Privacy italiano, il quale richiede che per dare il proprio consenso per il trattamento dei dati personali occorre aver compiuto 14 anni.
Per contro, allo stato attuale basta veramente poco ad un bambino che abbia anche meno di 13 anni per aggirare i blandi sistemi di controllo dei social in cui basta dichiarare di avere un’età maggiore per riuscire ad iscriversi senza alcuna vera barriera. Ovviamente, spetta ai genitori la principale responsabilità di vigilare sui propri figli, ma di fronte ad un permissivismo generalizzato è comprensibile che anche i più premurosi si trovino arresi.
Fonte : Federprivacy