Spotify vuole conoscerci al meglio. E per farlo vuole capire cosa succede attorno a noi mentre ascoltiamo le nostre canzoni preferite. Il colosso svedese dello streaming sta studiando un sistema per catturare le informazioni sonore attraverso i dispositivi in cui è in uso la sua app. L’obiettivo ufficiale è decifrare emozioni e situazioni dell’utente in un preciso momento per affinare l’algoritmo che seleziona tracce, album, artisti e playlist da suggerire. In sintesi, tracciare un identikit più preciso. Con tutti i dubbi del caso in merito alla privacy di chi preme il pulsante “play”.
Il primo passo in questa direzione Spotify l’ha già fatto. La testata online Music Business Worldwide ha infatti rivelato che il 12 gennaio l’azienda ha ottenuto la concessione per un brevetto presentato nel 2018 negli Stati Uniti. Dal titolo, “Identificazione degli attributi di gusto da un segnale audio”, già si intuisce il contenuto. In uno dei punti delle carte, pubblicate dalla rivista britannica, si parla di un “metodo per processare i segnali audio disponibili, inclusi i dialoghi e i rumori di fondo” allo scopo di “individuare contenuti riproducibili” grazie all’elaborazione dei contenuti di quegli stessi segnali audio.
In altre parole, la piattaforma di streaming vuole ascoltarci mentre ascoltiamo per poi catalogare il nostro umore: “felice, arrabbiato, triste o neutrale”. Potrebbe intuire gioia mentre cantiamo e balliamo sulle note di una canzone spensierata oppure che siamo in mezzo al traffico. E, sulla base di questi indizi, proporci un playlist frizzante o rilassante. Secondo Spotify, si supererebbe così il classico approccio di invitare gli utenti a “rispondere a noiosi sondaggi a risposta multipla” per identificare i loro gusti.
Il servizio, in realtà, colleziona già un sacco di informazioni sulle nostre attività: cronologia degli ascolti, i contenuti salvati e le preferenze degli amici. Sulla base di questo pacchetto, crea la nostra personale bolla musicale. Il salto di livello nella profilazione potrebbe ora arrivare con l’incrocio in un modello stocastico dei dati già disponibili con gli input della voce dell’ascoltatore-parlante e dei rumori di fondo, da quelli dell’“ambiente fisico” (metropolitana, bar, parco pubblico, ecc.) a quelli dell’“ambiente sociale” (ascolto in solitaria, in gruppo o a una festa). L’output potrebbe essere un semplice invito a passare alla canzone successiva o un pop-up con un suggerimento. Non si parla di pubblicità, ma è probabile che i benefici del sistema si tradurrebbero anche in annunci più mirati.
Al momento, tuttavia, non vi sono certezze sull’implementazione del sistema. Nel brevetto, Spotify mette le mani avanti spiegando che “è comune per i servizi di streaming includere funzioni che forniscono suggerimenti personalizzati all’utente”. Insomma, un commento tra sé e sé, una battuta rivolta all’amico o il caos in metropolitana potrebbero essere sfruttati per etichettarci. Significherebbe rinunciare a un’altra fettina di riservatezza in cambio delle discografie dei nostri cantanti preferiti.
Fonte: Il Giornale