Diffamazione aggravata per un post su Facebook anticipato dall’avviso a “poveri ebeti”. La Cassazione con la sentenza 9790/2021 conferma la responsabilità penale a carico di un medico che sulla piattaforma ha utilizzato frasi offensive nei confronti di un avvocato durante una discussione via web.
Il ricorrente nell’impugnare la sentenza dei giudici di merito in particolare aveva chiesto l’applicazione della particolare tenuità del fatto o al limite un trattamento sanzionatorio più mite.
I motivi sollevati riguardavano il fatto che fosse incensurato, non conoscesse la professione dell’altro (era un avvocato con una immagine pubblica), nessuno avesse chiesto la rimozione del suo presunto post diffamatorio e infine che la sua era stata solo una reazione a una precedente provocazione nella quale veniva ingiustamente accusato di fare “gli interessi di qualcuno”.
Ma la Suprema corte ha invece accolto le tesi presentate dalla parte offesa. E cioè che il primo intervento su Facebook è partito proprio da lui, con tanto di specificazione che si trattava di un avviso a “poveri ebeti”e che sempre lui aveva accusato i destinatari dei suoi rilievi di essere “al soldo delle multinazionali”.
Inoltre, su aumenti o diminuzioni per applicare le circostanze aggravanti e attenuanti, decide esclusivamente il giudice di merito, il quale esercita la sua discrezionalità in aderenza ai principi enunciati negli articoli 132 e 133 del codice penale.
E pertanto è inammissibile la censura che, nel giudizio di Cassazione, mira a una nuova valutazione della congruità del trattamento sanzionatorio. Bocciata per ultimo anche l’eccezione sull’ingiusta applicazione della pena: assolutamente generica e irrilevante l’elemento della incensuratezza.
Fonte: Il Sole 24 Ore del 12 marzo 2021