Lo scorso 4 ottobre Facebook, Instagram e Whatsapp sono rimasti inutilizzabili per sei ore in tutto il mondo. La misura del disastro digitale la offre, forse meglio di migliaia di parole, il video diffuso via Twitter dal portavoce del governo della Tanzania che invita i cittadini a restare calmi, rassicurandoli sulla rapida riattivazione dei servizi. Parole analoghe a quelle che, probabilmente, sarebbero state utilizzate se una catastrofe naturale avesse reso inutilizzabili la rete viaria, quella elettrica, quella idrica o quella telefonica o tutte queste reti messe insieme.
Lo shutdown delle App controllate dalla società di Menlo Park, in effetti, ha, letteralmente, messo in ginocchio il mondo nel quale, specie post-pandemia, la vita di miliardi di persone e centinaia di milioni di attività commerciali, ormai, dipende dal funzionamento di applicazioni come Facebook, Instagram o Whatsapp, Quasi inutile attardarsi a fare esempi: dalle comunicazioni interpersonali via voce e messaggi, agli ordini di prodotti e servizi, alla pubblicità, passando per l’informazione e i messaggi di pubblica utilità (inclusi quelli di emergenza) tutto, sempre di più e sempre più dappertutto, ormai passa per una o più delle applicazioni di Zuckerberg.
Senza dire del danno economico diretto e indiretto prodotto dallo shutdown. Netblocks.org un servizio creato da Alp Toker, un prolifico e geniale sviluppatore di software inglese, ha creato un servizio online che consente di calcolare il danno economico prodotto dal blocco di uno qualsiasi dei grandi fornitori di servizi digitali sulla base di indicatori provenienti dalla Banca mondiate, dall’Eurostat, dall’Itu e dal Census.
Lunedi scorso, secondo Netblocks, l’impatto economico dello shutdown di casa Facebook ha prodotto, solo nell’Ue, danni per oltre 170 milioni di dollari. Quasi 20 milioni di dollari sarebbero andati in fumo solo in Italia. Nel mondo il costo del disastro digitale avrebbe sfondato la soglia degli 800 milioni di euro. E, per fortuna, il blackout è durato solo sei ore perché se fosse durato un giorno intero il mondo avrebbe perso quasi 4 miliardi di dollari solo, si fa per dire, perché tre servizi forniti da un unico gruppo societario hanno avuto un problema.
Ovviamente, Facebook non ha mai promesso a nessuno, governi inclusi, la disponibilità ininterrotta dei propri servizi e non esistono servizi tecnologici, inclusi quelli dei giganti, sottratti al rischio di un momento, più o meno lungo, di malfunzionamento.
Le interruzioni della luce, dell’acqua, del gas o del telefono ci sono da sempre e ci saranno per sempre perché per quanto si possa fare per evitarle, incidenti e imprevisti esistono. E, naturalmente, neppure si può dire che non esistano alternative tecnologiche e commerciali ai servizi di Facebook.. Anche a prescindere dal fatto che le reti telefoniche di ieri ancora funzionano regolarmente e potrebbero essere usate per fare telefonate o mandare i vecchi e cari sms, gli app store di Apple e Google sono pieni di applicazioni di messaggistica, social networking e condivisione di immagini funzionalmente identiche a Whatsapp, Facebook e Instagram.
(Nella foto: l’Avv. Guido Scorza, componente dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali)
Impossibile non provare a trarre qualche lezione da quanto accaduto. Lo ha fatto, per esempio, sempre via Twitter, proprio durante il blackout Thierry Breton Commissario europeo al mercato intemo: «A chiunque nello spazio digitale globale può capitare uno shutdown, Gli europei meritano una migliore #resilienza digitale tramite regolamentazione, concorrenza leale, connettività più forte e sicurezza informatica. Lavori in corso».
E in tanti, in giro per il mondo, tra i rappresentanti delle Istituzioni, della società civile e delle imprese hanno almeno pensato (ma in molti ca si detto o twittato) la stessa cosa: nessun Paese, nessun cittadino, nessuna impresa dovrebbe restare esposta al rischio di ritrovarsi così fragile e impotente solo perché i servizi di un gruppo privato non funzionano per una manciata di ore.
Anche perché, in questo caso, quei servizi non hanno funzionato per un problema tecnico che la stessa Facebook ha subito e del quale avrebbe fatto certamente a meno ma, naturalmente, l’effetto sarebbe stato lo stesso se qualcuno in casa Facebook, per una ragione qualsiasi, avesse deciso di spegnere un interruttore. Scenario apocalittico e fantascientifico potrebbe dire qualcuno. Ma, probabilmente, fino a qualche mese fa avremmo pensato la stessa cosa davanti all’eventualità che non uno ma tutti i giganti del web condannassero all’ostracismo digitale il presidente in carica (anche se all’epoca ancora per poco) degli Stati Uniti d’America.
Poi però Donald Trump, ancora presidente del Paese che a quei giganti ha dato i natali e tycoon dell’economia globale è stato messo alla porta dell’universo digitale senza troppi complimenti e oggi spera che un qualche giudice possa ordinare almeno ad uno dei giganti del web di riammetterlo,
È semplicemente e drammaticamente, uno dei tanti volti dell’oligopolio tecnologico sul quale si reggono i nostri mercati, le nostre democrazie e le nostre vite. Guai a pensare di avere la soluzione in tasca ma il problema dobbiamo affrontarlo e dobbiamo farlo ora perché con l’internet delle cose che avanza e l’intelligenza artificiale che pervade le nostre vite, nel giro di qualche anno, gli effetti dell’oligopolio tecnologico sono destinati a crescere esponenzialmente.
di Guido Scorza (Fonte: Milano Finanza)