Chi viene condannato in tribunale può mantenere la propria privacy chiedendo che le proprie generalità non vengano riportate sulla sentenza pubblicata solo se vi sono dati sensibili o se la vicenda trattata riveste particolare delicatezza. La Cassazione non ha accolto la richiesta di un investigatore privato che chiedeva di oscurare i propri dati personali in una sentenza riguardante la sua condanna penale relativa al porto illegale di armi, perché ha ritenuto non legittime come motivazioni le “negative conseguenze sui vari aspetti della vita sociale e di relazione dell’interessato (…) in ambito familiare o lavorativo.”
La Corte di Appello aveva assolto l’investigatore dalle contestate violazioni, in quanto non costituisce reato il solo fatto di aver portato una pistola semiautomatica in un luogo pubblico con la licenza scaduta, ma quando l’imputato era stato invitato dai Carabinieri a mettersi in regola per ottenere il rinnovo del porto d’armi scaduto, l’investigatore si era presentato in caserma con la pistola e l’aveva esibita al maresciallo, il quale gliel’aveva sequestrata, e a quel punto scattava la comunicazione della notizia di reato.
Nel ricorrere in Cassazione, l’avvocato dell’investigatore faceva istanza ai sensi dell’art. 52 del Dlgs n. 196/2013 per ottenere un’annotazione volta a precludere, “in caso di riproduzione della sentenza o provvedimento in qualsiasi forma, (…) l’indicazione delle generalità e di altri dati identificativi del medesimo interessato riportati sulla sentenza o provvedimento.”
Ma la Corte di Cassazione rigettava il ricorso ritenendo infondate le giustificazioni addotte, essendo irrilevante il fatto che l’imputato avesse portato con sé l’arma solo per un breve tratto di strada, essendo stato accertato pacificamente che la licenza era scaduta e non ancora rinnovata, ed essendo previsto per legge il sequestro e la successiva confisca quando i reati riguardano le armi ed essendo infine irrilevante la proprietà o meno dell’arma ai fini dell’integrazione del reato.
Per quanto riguarda la richiesta di annotazione prevista dal Codice in materia di protezione dei dati personali con specifico riferimento alla “procedura di anonimizzazione dei provvedimenti giurisdizionali”, nella sentenza 47126/2021 la Cassazione rilevava che sono necessari “motivi legittimi”, in grado di fondare la relativa richiesta, nella “particolare natura dei dati contenuti nel provvedimento (ad esempio, dati sensibili)”, ovvero nella “delicatezza della vicenda oggetto del giudizio”, e tenendo conto di queste indicazioni, i giudici stabilivano che nel caso di specie non sussistevano motivi legittimi tali da poter richiedere l’oscuramento dei dati personali, perché nessun dato sensibile era indicato nella sentenza, e la questione oggetto di giudizio non si contraddistingue per la sua particolare delicatezza.
Fonte: Federprivacy