La riforma Cartabia, tra le altre cose, ha introdotto lo scorso 1° gennaio 2023 una tutela rafforzata relativa al diritto all’oblio per i casi di cronaca giudiziaria. Nelle disposizioni attuative del Codice di Procedura Penale, infatti, l’art. 64-ter rubricato “ Diritto all’oblio degli imputati e delle persone sottoposte ad indagini ” prevede la possibilità, per un soggetto nei cui confronti è stata pronunciata una sentenza di non luogo a procedere, di proscioglimento o un provvedimento di archiviazione, di richiedere alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento di apporre in calce allo stesso:
I) l’inibitoria dell’indicizzazione sui principali motori di ricerca del provvedimento emesso nei confronti dell’interessato e non ancora diffuso (opera ex ante);
II) la deindicizzazione dai motori di ricerca dei dati (articoli di giornale, ndr) relativi al procedimento a suo carico già pubblicati (opera ex post).
Questo rappresenta un automatismo giuridico secondo cui le persone sottoposte ad un processo penale dovrebbero avere il diritto di non vedere in eterno la propria immagine associata ad una vicenda giudiziaria dalla quale sono stati prosciolti o in altro modo dichiarati estranei, evitando così che la c.d. gogna mediatica – che sempre più spesso si genera sulle pagine dei quotidiani digitali – possa in effetti protrarsi nel tempo attraverso la reperibilità degli articoli stessi sui risultati del motore di ricerca.
La norma, introdotta nell’ordinamento italiano per rafforzare un diritto già applicato dai community standard dei principali motori di ricerca in forza di provvedimenti europei, ha visto alcune prime interpretazioni da parte del Garante per la Protezione dei Dati Personali e nello specifico con i provvedimenti n. 430 del 28/09/2023, n. 535 del 16/11/2023, n. 567 del 30/11/2023, n. 616 del 21/12/2023.
In tutti i provvedimenti il Garante, dovendo svolgere un delicato bilanciamento di interessi tra il diritto di cronaca e quello della tutela della riservatezza personale, ha sottolineato come la norma neo introdotta debba essere interpretata pur sempre ai sensi e nei limiti dell’art. 17 GDPR, con ciò ponendo l’accento sulla clausola di salvaguardia delle deroghe previste dallo stesso art. 17. Una di queste deroghe è proprio l’interesse pubblico alla conoscibilità della notizia. Il Garante ha stabilito che, considerando l’importanza pubblica e l’attualità dell’informazione, le notizie accurate e attuali non devono essere rimosse dai risultati di ricerca, anche se l’interessato ha visto come esiti proscioglimento o archiviazione. Questo perché, sempre secondo il Garante, la conoscenza appare funzionale a dare conto alla collettività degli esiti favorevoli della vicenda che lo ha interessato, circostanza che assume rilevanza proprio in relazione al ruolo ricoperto dall’interessato e che, proprio per tale ragione, non appare idonea a pregiudicarlo.
L’orientamento sembra dunque univoco: i criteri per il bilanciamento sono l’attualità delle informazioni, la loro esattezza e la rilevanza pubblica del soggetto coinvolto. Tale orientamento sembra per ora un’occasione mancata per l’implementazione di una norma che sembrava avere tutt’altro scopo originario. Nel bilanciamento di interessi svolto dal Garante sembra, infatti, mancare un elemento potenzialmente rilevante: talvolta anche il solo accostamento del nome e cognome di un soggetto alla notizia di un processo penale rappresenta essa stessa un pregiudizio per il soggetto nei cui confronti il processo si è svolto. A ciò si aggiunga che l’utente del motore di ricerca non sempre approfondisce i dettagli riportati nel contenuto dell’articolo e quindi l’elemento della conoscenza dell’esito positivo del processo, pur correttamente considerato dal Garante, potrebbe venire in secondo piano e pregiudicare comunque l’interessato.
Fonte: Il Sole 24 Ore – a cura di Nicole Monte