Scatta il reato di pornografia minorile per chi induce con minacce l’ex fidanzata minorenne a farsi selfie erotici per poi inviarli ad un amico su Facebook. Lo ha stabilito la Corte di cassazione con la sentenza n. 39039 depositata lo scorso 28 agostoche stringe le maglie sul cosiddetto sexting, condannando il responsabile a tre anni di reclusione e al pagamento di 18mila euro di multa.
Il caso – La decisione prende le mossa dal caso di un ragazzo, minorenne all’epoca dei fatti, che aveva chiesto con insistenza alla fidanzata quattordicenne di scattarsi fotografie che la ritraessero nuda o intenta in atti di autoerotismo, facendosele poi inviare sul cellulare intestato alla madre. La ragazza aveva trasmesso ventiquattro scatti autoprodotti (selfie). Dal processo era inoltre emerso che il giovane avrebbe avuto spesso atteggiamenti violenti e che quindi la ex fidanzata avrebbe ceduto al sexting soltanto dietro ricatto. Da qui la condanna in primo grado poi confermata dalla Corte di appello di Roma.
La Suprema corte – Nel ricorso per Cassazione il ragazzo si era difeso, sostenendo che tutti gli scatti fossero autoprodotti e che quindi non vi era stata alcuna forzatura, né sfruttamento della vittima. Ma per la Suprema corte il ricorso è inammissibile perché la volontà della vittima sarebbe stata annullata dalle continue vessazioni del ragazzo che l’avrebbero costretta a subire passivamente le richieste. L’invio degli scatti al profilo Facebook dell’amico avrebbe inoltre concretizzato il pericolo che la condotta fosse idonea a «soddisfare il mercato dei pedofili».
La pronuncia è importante perché nel 2016 la Corte di cassazione, con la sentenza n.11675, aveva escluso la sussistenza del più blando reato di detenzione di materiale pedopornografico nel caso di una ragazza minorenne che si era scattata volontariamente e senza costrizione dei selfie erotici per poi inviarli ad alcuni coetanei che avevano condiviso le fotografie con gli amici. In quel caso i ragazzi vennero tutti assolti perché per i giudici non c’era stato sfruttamento della minore che si era fotografata liberamente.
La nuova sentenza sottolinea però che il discrimine tra autodeterminazione e costrizione è spesso di difficile accertamento e che la strumentalizzazione del minore non è sempre agevole da provare. Va infatti valutato anche lo stato di «soggezione psicologica in cui versa la vittima quando decide di scattarsi le fotografie erotiche».
Il ricatto, anche indiretto, può essere considerato una forma di prevaricazione in grado di rappresentare una strumentalizzazione del minore che fa sussistere il reato punito con la reclusione fino a dodici anni. Anche se il minore acconsente a scattarsi le fotografie ciò non esclude la manipolazione. Non occorre, poi, che ci sia la richiesta di denaro: basta che l’autore abbia sfruttato la fragilità della vittima.
Fonte: Il Sole 24 Ore del 24 settembre 2018