Privacy e minori, va tutelata anche la foto scolastica online: ecco come

Il GDPR non prevede per le immagini lo stesso trattamento riservato ai “dati particolari”. Ma gli scatti sono spesso in grado di raccontare aspetti “sensibili” della vita degli individui. Ecco come la giurisprudenza affronta il tema del consenso in caso di ritratti postati sui social

La pubblicazione online di foto di minori è in costante aumento. Un fenomeno in grado di comportare una serie di rischi per il soggetto. La foto scolastica online non sfugge al problema.

Vediamo come il GDPR e la giurisprudenza approcciano il tema.

Indice degli argomenti

Quante foto online di bambini: il problema

Secondo alcune indagini statistiche, il 92% dei bambini con età inferiore ai 2 anni è presente sul web e, addirittura, 1/3 appare on line, attraverso la pubblicazione di ecografie, ancora prima di nascere. L’Unicef ha stimato che i minorenni hanno un tasso di presenza sul web del 71% rispetto alla popolazione totale e che in un anno un minore appare, in media, in 195 foto pubblicate sul web.

Appare quindi evidente, anche grazie alla diffusione dilagante di social network come Facebook e Instagram, che la massiva pubblicazione in rete di immagini di minori rappresenti un vero e proprio fenomeno che comporta notevoli problematiche alla luce degli elevati rischi e delle possibili conseguenze negative (si pensi ad esempio ai casi in cui mediante l’utilizzo di elaborazioni grafiche i visi dei bambini vengono modificati per diffondere materiale pedo-pornografico).

Già alla fine degli anni ’80, con la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, è stata riconosciuta una particolare tutela all’immagine dei minori (Art. 16 Conv. cit.). Analogamente il DPR del 22 settembre 1988, n. 448 ha vietato la pubblicazione e la divulgazione di notizie o immagini di minori identificabili (art. 13 DPR cit.) e il Codice Civile, nel suo articolo 10, ha stabilito che in caso di pubblicazione illegittima dell’immagine di un fanciullo l’interessato può rivolgersi all’autorità giudiziaria al fine di far cessare l’abuso.

Prima di analizzare le regole poste alla base della diffusione delle immagini dei minori si rende necessario chiarire un punto focale: le immagini sono dati particolari (ex dati sensibili)?

Foto di minori, cosa prevede il GDPR

L’articolo 9 comma 1 del Regolamento Europeo sulla protezione dei dati ci può aiutare a rispondere al quesito, infatti, lo stesso qualifica come dati particolari quelli che rivelano l’origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, l’appartenenza sindacale, i dati genetici, i dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica e i dati relativi alla salute o alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona.

 

Alla luce di quanto affermato si può desumere che le immagini non sono dati particolari non rientrando all’interno del concetto di dato biometrico. Tuttavia in moltissimi casi le immagini possono rilevare l’origine razziale o etnica, le opinioni politiche, l’appartenenza sindacale, l’orientamento sessuale e le convinzioni religiose. Si pensi alle fotografie della comunione o della cresima, alle caratteristiche razziali ed etniche che possono facilmente essere individuate dagli abiti o dai lineamenti, ecc…

È evidente che la qualificazione delle immagini dei minori come dato particolare o come semplice dato personale comporta numerosissime conseguenze alla luce delle condizioni di liceità del trattamento (art. 9 e 6 del GDPR).

Foto di minori: il consenso dei genitori

Proprio in merito ad una particolare condizioni di liceità si articola una complessa diatriba giuridica riguardante la necessità di ottenere, ai fini del trattamento dell’immagine dei minori, il consenso di uno o di entrambi i genitori. Per poter dirimere la citata questione è d’obbligo richiamare l’art 320 del codice civile, secondo il quale solo gli atti di ordinaria amministrazione possono essere compiuti disgiuntamente da ciascun genitore.

A mio parere l’autorizzazione alla diffusione dell’immagine di un minore è sicuramente un atto di straordinaria amministrazione, in quanto il diritto all’immagine è una specificazione del diritto all’identità personale e quindi identificabile come un diritto della persona (art. 2 Cost.) che, come il diritto alla salute è un diritto indisponibile, inalienabile, assoluto e imprescindibile.

Inoltre, essendo i social network portatori d’interessi patrimoniali, si può ritenere che l’atto giuridico attraverso il quale gli esercenti la potestà genitoriale consentano la pubblicazione dell’immagine del minore sia configurabile come la concessione di un diritto personale di godimento, che, in quanto tale, il codice civile considera come un atto di straordinaria amministrazione (art. 320 cc). A sostegno della c.d. interpretazione più cautelativa vi è, inoltre, il fatto che la teoria del consenso disgiunto (per la pubblicazione è sufficiente il consenso di un solo genitore) potrebbe provocare un continuo “conflitto di consensi e dissensi”, potendo l’altro genitore rendere illecita la pubblicazione revocare il consenso.

A sostegno di quanto affermato vi è, inoltre, autorevole Giurisprudenza ordinaria che ha affermato che la pubblicazione di foto di minori è un atto di per sé pregiudizievole per gli stessi e non può essere posta in essere in assenza di accordo dei genitori.

Foto di bambini online e mercato pornografico

Infatti, la divulgazione delle immagini fra un numero indeterminato di persone può comportare che gli stessi siano identificati ed avvicinati da malintenzionati ovvero che le fotografie siano oggetto di trasformazione in materiale pedo-pornografico (Tribunale di Mantova, 19 settembre 2017; in senso conforme, Tribunale di Roma – Sez. I Civ. del 23 dicembre 2017, Tribunale di Rieti 7 Marzo 2019).

Si ricorda che l’eccezione prevista dall’art. 8 del Regolamento Europeo sulla protezione dei dati, secondo la quale il consenso del minore che abbia almeno 16 anni (limite, in Italia, fissato al compimento del quattordicesimo anno d’età – D.Lgs. 101/18 art. 2 – quinquies) è valido, fa riferimento soltanto ai servizi offerti delle società dell’informazione.

In conclusione, appare opportuno evidenziare che particolare attenzione deve essere posta in merito al trattamento delle immagini dei minori effettuato in ambito scolastico, infatti, sempre più numerose sono le coppie di genitori che, per i motivi più disparati, non vogliono che il proprio figlio sia ripreso e fotografato.

A nulla vale eccepire che le fotografie degli alunni siano indispensabili per la valenza di un progetto didattico e che la base giuridica del trattamento sia garantita dal PTOF ove sono inseriti i motivi didattici che rendono necessaria la pubblicazione. Personalmente ritengo che il consenso sia l’unica base giuridica che possa rendere lecito il trattamento della diffusione delle immagini di un minore in ambito scolastico essendo la c.d. base giuridica delle “finalità didattica” in evidente violazione del principio di proporzionalità.

Nonostante i numerosi contrasti interpretativi non sussiste difformità di pensieri in merito alla necessità di aumentare la consapevolezza di insegnanti, istruttori o educatori i quali non si possono più permettere di effettuare, con leggerezza, foto di minori, magari utilizzando il proprio cellulare, né tanto meno possono, senza pensare, inviare foto di minori su gruppi WhatsApp con il semplice obiettivo della condivisione.

Occorre fargli capire che il trattamento delle immagini dei minori non deve essere gestito con leggerezza. Analogamente occorre aumentare la sensibilità dei genitori che, colpiti dal raptus della condivisione, scattano fotografie a ripetizione dei propri figli e dei figli degli altri, per poi condividerle con ogni avventore della rete.

È necessario ricordarsi che “i minori meritano una specifica protezione relativamente ai loro dati personali, in quanto possono essere meno consapevoli dei rischi, delle conseguenze e delle misure di salvaguardia interessate nonché dei loro diritti in relazione al trattamento dei dati personali(…)” (Considerando n. 38 del GDPR).

Fonte: www.agendadigitale.eu